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Religione libera

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E’ abbastanza stupefacente osservare come la religione in Italia sia completamente fuoriuscita dalla sua dimensione più propria – la cura e la consolazione delle anime – per dilagare invece in ambiti che non le competono affatto: la ricerca scientifica, i diritti civili, le libertà individuali. Quando parlo di ‘religione’, intendo naturalmente la Chiesa cattolica, che pur rappresentando una minoranza (secondo le stime più recenti, è cattolico praticante all’incirca il 35% della popolazione complessiva), si comporta come ai tempi del Papa Re, e pretende di dettar legge sugli altri due terzi degli italiani, che cattolici o non lo sono affatto, oppure lo sono soltanto per aver ricevuto il battesimo.

Il paradosso è che se da un lato la Chiesa s’intromette sempre più spesso e in modo sempre più rozzo nella nostra sfera privata, e con sempre maggior vigore combatte il progresso della scienza e della medicina, dall’altro lato non è più capace di parlare di ciò per cui esiste: l’infelicità dell’uomo. Ci affidiamo ciecamente al Prozac, agli strizzacervelli e alle fattucchiere per risolvere i nostri problemi di ansia, di colpa, di angoscia o, semplicemente, di senso generale della vita, mentre i sacerdoti, che di mestiere dovrebbero occuparsi precisamente di questo, restano muti e lontani, indaffarati come sono a tenere in “vita” Eluana Englaro o ad opporsi alla depenalizzazione dell’omosessualità.

E invece abbiamo un grande bisogno di poter coltivare una dimensione religiosa, o di fede, o spirituale, o come altrimenti vogliamo chiamarla. Per discutere seriamente di spiritualità e di religione, però, dobbiamo prima eliminare un equivoco. Quando si parla di religione, si pensa alla divinità; e quando si pensa alla divinità, si pensa al monoteismo. Nel mondo reale, però, non è affatto così. I monoteisti sono poco più della metà: tutti i cristiani, i musulmani e gli ebrei messi insieme raggiungono, secondo le statistiche più accreditate, circa il 54% della popolazione mondiale. Ma l’altra metà la vede in tutt’altro modo, e fuori dall’Occidente prosperano religioni politeiste (l’induismo, praticato da un miliardo di persone), panteiste (il taoismo), animiste (lo shintoismo e i culti africani), o addirittura atee (il buddhismo, che non prevede l’esistenza di nessun dio al di fuori o al di sopra di noi).

Il vero problema del monoteismo è che tende per sua natura all’intolleranza. Mentre gli imperatori romani avrebbero tranquillamente accettato il Dio dei cristiani nel loro pantheon, i cristiani rifiutarono in blocco, in nome dell’unico Dio, l’intero pantheon pagano. E, quando vinsero con Costantino, misero fuori legge tutti gli altri culti. Da allora, è stato sempre così: per il cristianesimo come per l’Islam. L’intolleranza monoteista è naturalmente una contraddizione in termini, perché già il fatto che i monoteismi siano tre suggerisce un dubbio sull’unicità di Dio. Ma è anche vero che, per continuare ad esistere, il monoteismo deve continuare ad affermare se stesso: chi crederebbe al Dio unico di una chiesa che tollera altri dèi e altre chiese? Speculare al monoteismo è l’ateismo così come lo conosciamo in Occidente, che sorge infatti come reazione all’assolutismo cristiano.

Concettualmente, la negazione assoluta di Dio non è meno irrazionale dell’affermazione della sua esistenza. Si tratta in entrambi i casi di un’ipotesi e di una generalizzazione del tutto indimostrate (e indimostrabili). Per di più, l’ateismo razionalistico tende a diventare scientismo, cioè fiducia più o meno cieca e più o meno illimitata nella scienza, capace un giorno di spiegare qualsiasi cosa e, dunque, risolvere qualsiasi problema. Naturalmente sappiamo che non è affatto così: né il Prozac né la psicanalisi – mirabili e utilissime conquiste della ragione umana – risolvono una volta per tutte il problema del senso della vita. Che rimane, naturalmente, un interrogativo sempre aperto, ma che proprio in questo essere un’interrogazione permanente costituisce un aspetto tutt’altro che secondario della nostra vita su questa terra. Del resto, di che altro si occupano la letteratura, la filosofia, l’arte o la poesia?

In altre parole, il problema del senso della vita, dell’esistenza del male e del diritto alla felicità non è eliminabile dal nostro orizzonte, ed è per questo che le religioni non solo sopravvivono attraverso i secoli, ma anche si moltiplicano, si mescolano e si scontrano, come accade ad un corpo vivo. È evidente, del resto, che le religioni, almeno in una certa misura, fanno bene anche all’umanità nel suo insieme, oltreché al singolo che ne trae sollievo e consolazione: senza il cristianesimo, per dire, non avremmo né la “Divina Commedia” né la cattedrale di Notre Dame, né le “Passioni” di Bach né la Cappella Sistina. L’unico vero problema riguardo alla religione è quello del suo rapporto con la politica e con la vita civile.

Il Vaticano in Italia e il radicalismo islamico nel mondo tendono a dimenticare che la sfera spirituale non ha nulla a che fare con quella temporale, e intervengono massicciamente – il Vaticano con divieti, proibizioni e pressioni sulla classe politica, il radicalismo islamico con le bombe – nella vita civile di tutti noi, pretendendo di dettar legge anche a chi non è né cattolico, né musulmano. Sul piano teorico, la questione del rapporto fra la religione e lo Stato è già risolto dal Settecento: gli illuministi ci hanno infatti insegnato che le questioni religiose attengono esclusivamente alla sfera privata, mentre nella sfera pubblica non esistono privilegi o insegnamenti esclusivi, ma soltanto opinioni, e diritti e doveri uguali per tutti. Lo Stato non ha una morale: ha molte leggi. Il punto infatti non è il diritto della Chiesa a dire la sua opinione per esempio sull’omosessualità, diritto che nessuno può contestare, ma la pretesa di trasformare il peccato in norma di legge, cioè di fuoriuscire dalla dimensione spirituale e morale per imporre una discriminazione reale. Gli omosessuali continueranno a essere peccatori, se la Chiesa lo ritiene, ma non per questo non possono sposarsi e godere di tutti i diritti di cui godono gli eterosessuali.

Non si può tuttavia rimproverare la Chiesa se si comporta così: è la politica che dovrebbe arginarla e aiutarla a ritornare al suo ambito. Se non lo fa, in Italia, è perché è pericolosamente debole e spera dunque, con l’appoggio della Chiesa, di ritrovare parte della forza e dei consensi perduti. In questo modo, tuttavia, la politica resta debole e le libertà civili sono messe in pericolo.

È dunque la battaglia per la laicità integrale dello Stato e per l’assoluta libertà individuale del singolo rispetto alle pretese educative o ‘morali’ di chicchessia ad essere oggi al centro della scena. Mai come oggi le libertà civili sono messe in discussione; e mai come oggi abbiamo bisogno di un cammino spirituale che ci aiuti a comprendere il nonsenso del mondo. Bisogna dunque ricondurre le chiese e le religioni alla cura delle anime perché, fra le tante libertà necessarie, c’è anche quella di compiere un percorso spirituale, da soli o in una comunità, senza per questo esser costretti a limitare o a conculcare i diritti altrui.

Una società libera, in cui ciascuno pensa, dice e fa ciò che vuole (purché naturalmente non nuoccia ad un altro), e in cui lo Stato si occupa soltanto dell’essenziale, è anche una società religiosa: perché ciascuno può seguire la propria ricerca spirituale senza paura di finire all’inferno o in un commissariato di polizia.


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